Bangkok
Infine sono arrivato. I mesi scorsi sono sgocciolati trasformandosi
in settimane, giorni, qualche ora di aereo stropicciato in seconda
classe. Clima all'arrivo: afa insopportabile, smog, insomma, niente di
nuovo rispetto ad un normale agosto a MIlano. L'autobus dall'aeroporto
mi scarica direttamente in Khao San Road, enclave di guest house,
negozietti e turiste scollacciate. Prendo una camera modesta alla
Sawasdee House, a circa 4 euro a notte. La stanza, con l'indispensabile
fan (ventilatore) è ridotta all'essenziale, i bagni sono in comune ma
tenuti bene, il panorama non proprio stupendo. Ma mi piace
quest'atmosfera da ostello, da centro di smistamento di giovani
occidentali in cerca di esotismo. Inoltre il bar ristorante, che si
affaccia in Soi Rambutree, è abbastanza caratteristico e movimentato. Mi
piace affacciarmi a fumare dalla finestra del corridoio e vedere gente
che passeggia nella strada sottostante, anche ad ora tarda.
Bangkok (o Khrung Thep, come la chiama chi vuole atteggiarsi ad esperto dei luoghi, nel qual caso dovrebbe chiamarla col suo vero nome, che è Krung Thep Mahanakhon Amon Rattanakosin Mahinthara Ayuthaya Mahadilok Phop Noppharat Ratchathani Burirom Udomratchaniwet Mahasathan Amon Piman Awatan Sathit Sakkathattiya Witsanukam Prasit) beh, è una metropoli orientale confusa e visionaria, ma tutto sommato coerente, sudata e affollata ma con dignità. Gli abitanti sono generalmente affabili, a volte sconfinano nella molestia nel tentare di vendervi qualcosa, ma in generale si può girare abbastanza tranquillamente. Sembra lontana la sinistra ombra della violenza che di solito si accompagna alla povertà, come ad esempio nelle metropoli sudamericane. Tradizione e progresso in un mix abbagliante, bonzi in fila ad un bancomat, punkabbestia, guidatori di tuk tuk che vi vogliono portare a qualche ping-pong show, sarti indiani, routard di lungo corso. Non è raro vedere gente che dorme per strada, anche (forse soprattutto) di giorno. Il costo della vita è irrisorio per un occidentale.
Oggi mi sono sentito un po' solo, nonostante in serata abbia conosciuto una coppia di olandesi. Sarà lo spaesamento dell'arrivo. In piena notte, rosolavo nel letto per il caldo e ho deciso di scendere a fare due passi in strada. Ho acquistato da un ambulante un cartoccio di "mix croccante", composto da locuste, camole, rane, grilli ed uno scarafaggio gigante. Sbocconcello un po' le cosce delle cavallette, poi lascio perdere. Ho già capito che voler prendere precauzioni igieniche in Thailandia è come voler nuotare senza bagnarsi.
Bangkok (o Khrung Thep, come la chiama chi vuole atteggiarsi ad esperto dei luoghi, nel qual caso dovrebbe chiamarla col suo vero nome, che è Krung Thep Mahanakhon Amon Rattanakosin Mahinthara Ayuthaya Mahadilok Phop Noppharat Ratchathani Burirom Udomratchaniwet Mahasathan Amon Piman Awatan Sathit Sakkathattiya Witsanukam Prasit) beh, è una metropoli orientale confusa e visionaria, ma tutto sommato coerente, sudata e affollata ma con dignità. Gli abitanti sono generalmente affabili, a volte sconfinano nella molestia nel tentare di vendervi qualcosa, ma in generale si può girare abbastanza tranquillamente. Sembra lontana la sinistra ombra della violenza che di solito si accompagna alla povertà, come ad esempio nelle metropoli sudamericane. Tradizione e progresso in un mix abbagliante, bonzi in fila ad un bancomat, punkabbestia, guidatori di tuk tuk che vi vogliono portare a qualche ping-pong show, sarti indiani, routard di lungo corso. Non è raro vedere gente che dorme per strada, anche (forse soprattutto) di giorno. Il costo della vita è irrisorio per un occidentale.
Oggi mi sono sentito un po' solo, nonostante in serata abbia conosciuto una coppia di olandesi. Sarà lo spaesamento dell'arrivo. In piena notte, rosolavo nel letto per il caldo e ho deciso di scendere a fare due passi in strada. Ho acquistato da un ambulante un cartoccio di "mix croccante", composto da locuste, camole, rane, grilli ed uno scarafaggio gigante. Sbocconcello un po' le cosce delle cavallette, poi lascio perdere. Ho già capito che voler prendere precauzioni igieniche in Thailandia è come voler nuotare senza bagnarsi.
-
Mi sono svegliato praticamente all'alba, il tempo di una doccia
fresca e di una tazza di te e sono uscito. La meta era il tempio enorme
di Wat Salamadoi, ma siccome era troppo presto mi sono fatto un giro per
un mercato di bancarelle. Odori speziati carichi di un sentore di
marcescenza; ero l'unico "falang" nei paraggi. Ho mangiato uno spiedino
di credo (spero) pesce, mentre una pantegana passeggiava indisturbata
fra i venditori. Dopo il Buddha di smeraldo, mi concedo una scorrazzata
in tuk tuk, una cena nella luccicante Patpong, qualche acquisto di
ricordini per amici e parenti.
In viaggio verso le isole
Dopo una nottata pressochè insonne, ho fatto una passeggiata
mattutina in Khao San. Qui pullulano piccole agenzie di viaggi e tour
operator vari. Di solito tento di evitare intermediari, ma quando leggo
che per poco più di 5 euro appoggiano le mie scarne chiappe sulla sabbia
dell'isola di Koh Chang, mi lascio convincere. La mia guida ne parla
bene, sembra un'isola con dei bei posti ancora non interamente
sacrificati al turismo di massa. Sul pullman, un viaggio durato 7 ore
quando in moto ne avrebbe richieste un paio andando piano, ho conosciuto
un altro ragazzo olandese, Koen, che mi sembra abbastanza esperto di
queste zone. Infatti vaneggia di arrivare, dopo Koh Chang, direttamente
in Cambogia, passando per zone che sulla mia mappa sono segnate a
foresta. Dopo un po' di attesa, ci siamo imbarcati. Inutile dire che la
puntualità in Thailandia è molto elastica, ma essendo italiano sono
vaccinato. Ora sono sul traghetto, il mare è un tappeto nero, ci si
potrebbe camminare sopra. Il tramonto è da cartolina, con immancabile
stormo di uccelli che si staglia contro il sole arancione. La solitudine
di ieri sembra svanita.
Koh Chang
Ieri sera, dopo la traghettata, siamo arrivati sull'isola ed era già
buio fitto. Abbiamo buttato gli zaini su un pick-up collettivo e siccome
eravamo troppi, io ed un altro ragazzo stavamo aggrappati fuori, sul
predellino. Il conducente ha chiesto a tutti dove scendessero, e quando
Koen ha detto Lonely Beach sono stato tentato di andarci anch'io, ma non
mi son fatto incantare dal nome suggestivo e son sceso a Khong Phrao.
Qui purtroppo c'era solo un resort carissimo (cioè, 40 euro a notte, che
in Thailandia sono un'enormità). Mi sono quindi fatto dare un passaggio
fino a White Sand Beach, la parte forse più turistica dell'isola, ma
anche quella che offre più opportunità di sistemazione. Infatti,
nonostante fosse tardi, ho trovato un procacciatore. Aveva la faccia
abbastanza inaffidabile, per cui non ho esitato a seguirlo sulla
spiaggia nel buio, con lo zaino in spalla. La buona stella mi ha dato
una mano, poichè non aveva cattive intenzioni e mi ha portato ad un
complesso di palafitte proprio all'estremità settentrionale della
spiaggia. La mia camera, che pago 3 euro a notte, è più che in spiaggia,
sento la risacca sotto le assi di legno del pavimento. Una zanzariera
rattoppata avvolge il letto, e il bagno, a parte l'immancabile
scarafaggio, è presentabile. La cosa divertente è che di notte, oltre ad
una certa ora, si alza la marea e per arrivare in camera ci si immerge
nell'acqua fino a mezza coscia. E' una sistemazione spartana ma la gente
sembra simpatica. Dopo un piatto di pollo e riso, e due birre, sono
andato a letto. Ora è l'alba e guardo la poca gente sulla spiaggia, che
alla luce del giorno appare lunga almeno un chilometro verso sud, oltre
ad un altro chilometro a nord del grande scoglio su cui si aggrappa la
mia palafitta. La parte più a settentrione è ancora più intonsa, giusto
qualche casetta ben integrata e sabbia, fine e pulita. Qualche farang
che cammina ozioso, qualche barca da pesca, delle donne che rovistano in
una cesta piena di piccoli gamberetti. La mascotte del bar-palafitta è
Beckham, una scimmietta irriverente che ieri sera mi ha divertito
moltissimo, distraendomi da alcune poppute clienti.
Oggi sono andato a pescare sugli scogli all'estremità nord. Ho preso in un negozietto il filo, qualche amo (troppo grosso per i pesci da scoglio, ma non ne avevano altri) ed un galleggiante di sughero. Mi sono brasato la pelle e la mattinata è passata in modo spensierato. Come esche usavo chiocciole e qualche vongola che riuscivo a staccare. I pesci si attaccavano, ma essendo gli ami troppo grossi pasteggiavano e se ne andavano. Solo uno, sfortunato, è rimasto attaccato ad una branchia, l'ho messo vivo in un sacchetto d'acqua per farlo vedere agli altri. Sugli scogli c'erano due bambini che pescavano, ma avevano ami ancora più inadatti dei miei. Gliene ho regalato qualcuno, ma non sembravano aver capito, nonostante il mio gesticolare che mimava pesci piccoli ed ami enormi, e mi hanno ringraziato perplessi. Nel primo pomeriggio, riappare all'orizzonte l'olandese, Koen, lo apostrofo Lonely Dutch e gli chiedo come sia andata sulla sua Spiaggia Solitaria. Mi dice che gli hanno fregato 4000 Baht, e che per dormire si è dovuto spalmare di solo Dio sa cosa perchè degli insetti non gli davano tregua. Ringrazio il mio sesto senso che mi ha fatto fermare a Sai Khao.
Il mio posto preferito in cui sedere, è un tronco scavato a forma di amaca in cima alle scale dell'ostello. E'il varco di accesso, mi permette di gustare la mia birra avendo il mare che ondeggia mollemente a due metri da me. Nel cemento della terrazza, sono state attaccate delle conchiglie. Verso le sette, la mia prima tempesta monsonica. In pochi istanti, il cielo ed il mare si uniscono in un grigio uniforme, l'orizzonte è indistinguibile. Scende acqua a secchiate, nel cielo ci sono dei fulmini spettacolari che tento di catturare bruciando metri di pellicola con lunghe esposizioni. Il cielo poi diventa giallo squillante, è il tramonto, il grosso della tempesta si sposta a nord, e i lampi diventano dei fuochi d'artificio lontani e sordi. Il tutto dura all'incirca una mezzora. Dopo aver fatto un bagno sotto la pioggia, ci spostiamo con altri avventori nella palafitta di un inglese, per uno sbargiollo e due chiacchiere. Dopo un po' fatico a seguire ciò che dicono, soprattutto l'inglese che sbiascica, e me ne vado a letto. Mi piace questa sistemazione selvatica.
Oggi sono andato a pescare sugli scogli all'estremità nord. Ho preso in un negozietto il filo, qualche amo (troppo grosso per i pesci da scoglio, ma non ne avevano altri) ed un galleggiante di sughero. Mi sono brasato la pelle e la mattinata è passata in modo spensierato. Come esche usavo chiocciole e qualche vongola che riuscivo a staccare. I pesci si attaccavano, ma essendo gli ami troppo grossi pasteggiavano e se ne andavano. Solo uno, sfortunato, è rimasto attaccato ad una branchia, l'ho messo vivo in un sacchetto d'acqua per farlo vedere agli altri. Sugli scogli c'erano due bambini che pescavano, ma avevano ami ancora più inadatti dei miei. Gliene ho regalato qualcuno, ma non sembravano aver capito, nonostante il mio gesticolare che mimava pesci piccoli ed ami enormi, e mi hanno ringraziato perplessi. Nel primo pomeriggio, riappare all'orizzonte l'olandese, Koen, lo apostrofo Lonely Dutch e gli chiedo come sia andata sulla sua Spiaggia Solitaria. Mi dice che gli hanno fregato 4000 Baht, e che per dormire si è dovuto spalmare di solo Dio sa cosa perchè degli insetti non gli davano tregua. Ringrazio il mio sesto senso che mi ha fatto fermare a Sai Khao.
Il mio posto preferito in cui sedere, è un tronco scavato a forma di amaca in cima alle scale dell'ostello. E'il varco di accesso, mi permette di gustare la mia birra avendo il mare che ondeggia mollemente a due metri da me. Nel cemento della terrazza, sono state attaccate delle conchiglie. Verso le sette, la mia prima tempesta monsonica. In pochi istanti, il cielo ed il mare si uniscono in un grigio uniforme, l'orizzonte è indistinguibile. Scende acqua a secchiate, nel cielo ci sono dei fulmini spettacolari che tento di catturare bruciando metri di pellicola con lunghe esposizioni. Il cielo poi diventa giallo squillante, è il tramonto, il grosso della tempesta si sposta a nord, e i lampi diventano dei fuochi d'artificio lontani e sordi. Il tutto dura all'incirca una mezzora. Dopo aver fatto un bagno sotto la pioggia, ci spostiamo con altri avventori nella palafitta di un inglese, per uno sbargiollo e due chiacchiere. Dopo un po' fatico a seguire ciò che dicono, soprattutto l'inglese che sbiascica, e me ne vado a letto. Mi piace questa sistemazione selvatica.
Giornata partita male. Mi sono svegliato con un mal di testa e di
gola terribile. Devo avere preso la famosa influenza asiatica,
quest'anno all'origine. Sono sceso al baretto a prendere una tazza di
te, e la sciura Mami mi ha detto che ero bad looking. Infatti mi sono
guardato in uno specchio e non avevo una bella cera. Sono ricrollato a
letto e mi sono svegliato che la marea era già quasi sotto al balcone,
quindi suppongo fossero almeno le 4. Ho abolito qualsiasi cosa mi dica
che ore sono. A cena sono sceso per buttare giù qualcosa, l'influenza
era al suo culmine più violento e il ragazzo olandese mi ha dato due
freesbee di paracetamolo; dopo un paio d'ore il mal di testa e di gola
si sono attenuati, ho solo il naso chiuso. In serata siamo andati con
due ragazze tedesche a bere qualcosa in un chiringuito, avevo bisogno di
distrarmi, e sotto la luna siamo andati a fare il bagno, l'acqua era
spettacolare. Sotto il pelo dell'acqua, i nostri movimenti lasciavano
scie luminose. Dalle nostre mani si sprigionavano scintille di luce,
tracciavamo arabeschi attorno a noi. Luzy diceva che non si poteva
trattare di bolle d'aria, poichè le mani erano già sott'acqua. Un
fenomeno che ci hanno spiegato solo dopo, ridendo; "Ma come, non avete
visto The Beach?". Si tratta di una specie di plancton bioluminescente.
In quel momento per noi tre era un'altra piccola magia.
I giorni trascorrono pigramente, passo ore oziando fra la spiaggia ed
il bar, non posso chiedere di meglio. Sto velocemente rimpiazzando
l'italiano, mi capita spesso di pensare in inglese. Ma a dire il vero,
non ho molta voglia di intavolare grandi discorsi, mi sto dedicando al
cazzeggio a livelli di eccellenza. Stamattina un'aquila enorme
volteggiava sulla spiaggia. Il vecchio, il grande capo della guesthouse
qui, si aggira soltanto con un sarong e gli occhiali da sole, sembra un
cazzo di Ray Charles thailandese. Ogni tanto mi lancia gualche squardo
di intesa, un lampo sopra le lenti nere, come a dire: io si che so stare
al mondo. E non gli si può dare torto. Anche io guardo arrivare nuovi
ospiti, sotto i loro zainoni, stupefatti e con l'acqua fino a metà
coscia. Hanno la faccia che avevo quando sono arrivato io. Ora mi sento
integrato, come se ci fossi da un mese, conosco le stradine e la gente,
mi sento già un po' a casa.
Giornata in scooter, visita alle cascate, pigrizia diffusa. La
ragazza canadese mi sorride, tutti sorridono. Di buon'ora noleggio una
motoretta, che dev'essere una di quelle cilindrate impensabili che fanno
in Cina, tipo 104. Il tipo mi dà anche un casco, che però deve essere
omologato solo per giocare a scacchi, visto che a occhio e croce è di
polistirolo. Decido quindi di godermi il vento fra i capelli. Il mio
giro dell'isola parte in senso antiorario, nel versante orientale. Ma
presto mi accorgo che questo lato ha proprio poco da offrire, una costa
brulla e inospitale, qualche colata di cemento, qualche chioschetto
allestito per i pochi che passano.Torno verso il lato occidentale. Qui
gli scenari sono davvero notevoli, spiaggie tranquille, poca gente.
Arrivo fino all'estremo sud dell'isola, alla laguna protetta, dove devo
lasciare il motorino per poter accedere, mi danno una bicicletta. La
tenuta è grande, scenografie oniriche. Dev'essere bassa stagione, o
qualcosa di simile, perchè sembro esserci solo io e qualche vecchio
miliardario della Florida. Il parco è stupendo e tenuto molto bene,
qualche giardiniere pota i fiori, il cameriere del bar mi porta un pezzo
di torta e una bibita "compresa nel prezzo". C'è una specie di estuario
di un fiume, e vecchi barconi (direi stile vaporiera del Mississipi)
ormeggiati fungono da alloggi. Il tutto in un insieme armonico, non
pacchiano. Nell'acqua salmastra nuotano pesci gatto grossi come foche. E
poi la spiaggia. Oltre ad essere immacolata, orlata di palme spioventi,
accarezzata dal vento tiepido, ha una caratteristica rara. E' deserta.
In lontananza alcune isole della Cambogia credo. Dopo un paio d'ore a
pensare al destino del mondo sotto una palma, mi avventuro verso delle
cascate all'interno dell'isola. Il sentiero è nelle vicinanze
dell'ingresso del parco, c'è una sbarra arrugginita. Io da bravo
italiano mi avventuro nella foresta in ciabatte, ma per il sentiero sono
consigliabili delle scarpette con buona presa, o se si è uomini di
mondo a piedi nudi, poichè il terreno non è sempre facile. Dopo un po'
arrivo alla cascata, ed è una vera oasi in cui rinfrescarsi e levarsi il
sale dalla pelle. Ci sono solo io e due ragazzi, che dicono di essere
svizzeri, ma che subito se ne vanno lasciandomi solo immerso nella
quiete. L'acqua è limpida ed ha la temperatura perfetta che a casa con
la doccia non ottengo mai. Ma un rumore turba questo scenario idilliaco:
è il mio stomaco che mi ricorda che è ora di pranzo. Salto di nuovo in
sella ed arrivo a Bang Bao, villaggio dei pescatori che sorge su tipiche
palafitte. In pratica il paese è un pontile, attorno a cui si
aggrappano case, negozietti, ristoranti ecc. In particolare i ristoranti
possiedono vasche enormi in cui nuota qualsiasi cosa ingeribile da un
essere umano. Crostacei, molluschi, pesci, alcuni veramente particolari,
come il famoso limulo, un invertebrato che esiste da 500 milioni di
anni. Decido di non contribuire ad estinguerlo ed opto per una specie di
sarago gigante e multicolore, in un piatto tempestato di gamberi,
capesante e contorni vari. Anche in questo ristorante di turisti ce n'è
ben pochi, solo una famiglia di indiani ad un tavolo distante, impegnati
come me ad affondare le fauci nei piatti. Un cameriere staziona vicino
al mio tavolo, pronto ad ogni mia esigenza. Mi mette un po' in
soggezione, e quando mi riempie il bicchiere d'acqua, gli chiedo
gentilmente di lasciar fare a me. Mi piace mangiare tranquillo, senza
nessuno che invada uno spazio di almeno un metro attorno ai miei
gamberoni. Anche il vino è buono, e il conto, di circa una quindicina
d'euro, è ben oltre l'onestà. Soddisfatto e satollo, mi avvio verso
un'altra baia a metà isola, di cui non ricordo il nome. Questo sembra un
vero rifugio per turisti occidentali snob annoiati e ciondoloni, mi
bevo una fanta, giusto il tempo di digerire il sarago imperiale. In
serata ce la siamo spassata, e abbiamo bevuto anche un po'. Un dopocena
in pieno relax al Sabay Bar, con Meika e gli altri, a fumare il narghilè
guardando le stelle e l'ozioso moto della marea. Sono di ottimo umore, a
parte qualche strascico di influenza. La serata si conclude con Koen e
Luzy che sboccano sulla spiaggia, mentre io, rinvigorito per la
ritrovata salute, sprizzo energia da tutti i pori.
Oggi, tanto per cambiare, non sto facendo niente. E' giusto che sia
così. Questa spiaggia, questo clima, invitano ad una contemplazione
senza orari nè scadenze. Faccio due tiri a pallone con dei ragazzi thai,
catturo con un sacchettino di plastica una piccola medusa e la regalo a
un bambino, figlio di un altro olandese, che la guarda meravigliato. Il
padre, labbro leporino e faccia da pirata fiammingo, mi racconta che
quando era giovane si è girato il Sudamerica da solo, e condisce gli
aneddoti con una risata sibilante. Mi piace starlo ad ascoltare o
raccontargli i miei viaggi, lui ogni tanto richiama il figlio che inizia
a vagare lontano con la sua medusa. Il tempo sgocciola, mi accorgo di
calcolarlo guardando il sole, o a che altezza sia arrivata la marea.
All'imbrunire l'acqua arriva ai piedi della mia palafitta. Oggi Meika e
Luzy sono partite.
In mattinata presto siamo partiti per una battuta di pesca e
snorkeling, un tragitto chiamato cinque isole. Sono andato con i tre
francesi, Simon, Olivier ed Annabel; non parlo benissimo francese, ma
con un po' d'inglese e un po' di mimica ci capiamo e andiamo subito
d'accordo. All'imbarco eravamo un po' delusi, la barca era molto
turistica. Ci siamo divertiti tuffandoci dal parapetto con degli
orientali, forse cinesi ricchi, che ci scattano le foto stupefatti da
tanta tamarraggine mediterranea. Ma appena raggiunta un'isola, ci siamo
messi maschera e boccaglio e ci siamo lasciati alle spalle le furgonate
di orientali. I quali, devo dire uno spettacolo abbastanza triste,
formavano delle specie di catene coi giubbotti salvagente e si facevano
trainare da una barchetta di supporto, tenendo la testa sott'acqua col
boccaglio. Io e i francesi ci avventuriamo nella circumnavigazione a
nuoto dell'isola. Lo snorkeling ci dà grande soddisfazione: é la prima
vera barriera corallina che vedo, ed è a mio avviso spettacolare.
Coralli di ogni colore, anemoni di mare, stelle marine grosse come
angurie. L'entusiasmo non è esagerato, per essere la prima volta. Mi
diverto ad inventare i nomi dei pesci che vedo: pesce termometro, pesce
sottomarino marrone, pesce sbruffone ecc. In un punto, dove la corrente è
abbastanza forte, un'onda mi sbatte contro un corallo enorme e
ovviamente mi taglio. Me ne accorgo solo quando vedo che dei pesci mi
stanno assaggiando le caviglie, in una nuvoletta rossa. Sulla barca,
memore di quanto sia infida e infettabile una ferita da corallo, mi
verso sopra del brandy che Olivier gentilmente mi offre. Dopo avere
guardato ben bene il fondale ed ogni suo ospite, ci dedichiamo alla
pesca dalla barca. Anche qui, sembra di pescare alle vasche del
ristorante. Ci sono talmente tanti pesci che alcuni adottano una
singolare tecnica di pesca. Montano due ami grossi in fondo alla lenza, a
circa 5 centimetri di distanza. A quello superiore attaccano l'esca, di
solito un tentacolo di seppia o simili, mentre quello sotto rimane
vuoto, con i tre uncini minacciosi. Poi cosa fanno, pasturano con del
riso, ed arrivano i pesci. Quelli, quando vedono l'esca, non gli pare
vera e ci si abboffano talmente in tanti che basta strattonare la lenza
per agganciarne qualcuno con l'amo vuoto sotto. Prendo tre pesci di
circa una trentina di centimetri, ed un meraviglioso pesce turchese si
stacca dall'amo quando lo vedevo già nel secchio. L'avrei liberato,
tanto era bello e probabilmente non commestibile. Gli altri tre però
sono buoni, anche i francesi tirano su bene, e in serata grigliamo tutto
sulla spiaggia. Serata con birretta e biliardo.
Mi sono svegliato di soprassalto, per delle voci che arrivavano dalla
spiaggia. Ho deciso, oggi lascio Koh Chang. Sono triste, devo
ammetterlo, è una decisione che mi costa ma non posso passare tutto il
tempo su un'isola, per quanto felice. Saluto Koen, Sao, Da e tutti gli
altri con malinconia, ci spiace perderci per strada ma ognuno ha il suo
viaggio da fare.
Ci sono un tedesco, un francese ed un italiano che devono arrivare al porto. Il tedesco ferma un songthaew (taxi collettivo) il quale gli chiede 150 baht a testa. Il francese, che parla un po' di thai, ne ferma un altro e riesce a cavare 100. L'italiano spegne la sua sigaretta, ferma il primo pick-up che va verso nord ed ottiene un passaggio per tutti.
Arriverò nel tardo pomeriggio a Bangkok, dove prenderò un treno e, secondo i piani, domani mattina dovrei essere a Nong Khai, alla frontiera con il Laos.
Ci sono un tedesco, un francese ed un italiano che devono arrivare al porto. Il tedesco ferma un songthaew (taxi collettivo) il quale gli chiede 150 baht a testa. Il francese, che parla un po' di thai, ne ferma un altro e riesce a cavare 100. L'italiano spegne la sua sigaretta, ferma il primo pick-up che va verso nord ed ottiene un passaggio per tutti.
Arriverò nel tardo pomeriggio a Bangkok, dove prenderò un treno e, secondo i piani, domani mattina dovrei essere a Nong Khai, alla frontiera con il Laos.
Bangkok - Ayutthaya
(Il viaggio riprende dalla frontiera con il Laos, nel nord della Thailandia).
Riassumo brevemente gli ultimi giorni. Dopo il viaggio della speranza,
dal confine del Laos fino a Bangkok, incontro Marco al Suk 11, che
dicono essere uno degli ostelli più belli della capitale. In effetti ad
una prima occhiata non tradisce le aspettative, ma purtroppo è pieno,
per cui decidiamo di ripiegare sulla Sawasdee House. Ci danno una doppia
senza pretese, che si affaccia sul macello ininterrotto della strada
sottostante. Ieri lo abbiamo passato girando la città in lungo e in
largo, con tuktuk, barca e skytrain, e soprattutto facendo shopping
(abbiamo ribattezzato l'artigianato locale "buddhanate"). Nei canali,
fra ville sontuose e palafitte marcescenti, gli incontri interessanti
non mancano. La vita. lontana dalle arterie d'asfalto, è molto più
tranquilla. Uomini che pescano pazientemente, bambini che fanno il bagno
nelle acque marroni dei canali, tutti salutano e sorridono. Varani di
grosse dimensioni che si arrampicano pigramente sugli argini, le
immancabili effigi del re in ogni dove.
Ieri sera siamo andati in Patpong a fare un po' di vasche fra le bancarelle, e siamo entrati a dare un'occhiata in uno dei famosi go-go bar, in cui le prostitute ballano e adescano clienti. Non voglio fare moralismi, ma la situazione non era molto piccante. Le ragazze si agitano annoiatamente, un numero attaccato al costume le identifica. Forse hanno subodorato che da noi caveranno ben poco, perchè non veniamo importunati più di tanto. Offriamo da bere ad un paio di esse per scambiare due chiacchiere. Un grosso orientale ne ha due incollate addosso, noi guardiamo incuriositi le ardimentose manovre sul palco. Le donne si esibiscono con palline da ping-pong, cerbottane, lamette; il come lo lascio all'immaginazione. Qui la prostituzione non è ad esclusivo appannaggio di povere emarginate, ma coinvolge ragazze di tutti i ceti sociali, che la svolgono come un lavoro qualsiasi. Passato lo stupore iniziale per lo show, torniamo fuori fra le bancarelle.
Stamattina Marco si è svegliato presto per andare a prendere Andrea all'aeroporto. Poi siamo partiti in battuta per andare ad Ayutthaya. La città è molto più tranquilla di Bkk, abbiamo fatto un pranzo luculliano e conosciuto due ragazze americane, a cui diamo appuntamento stasera alle 7 al Tony, uno dei pochi locali in città. Di vita comunque ce n'è ben poca, per fortuna veniamo salvati dalla depressione incombente da un prestigiatore di strada che ci delizia con mille giochini divertentissimi.
Ieri sera siamo andati in Patpong a fare un po' di vasche fra le bancarelle, e siamo entrati a dare un'occhiata in uno dei famosi go-go bar, in cui le prostitute ballano e adescano clienti. Non voglio fare moralismi, ma la situazione non era molto piccante. Le ragazze si agitano annoiatamente, un numero attaccato al costume le identifica. Forse hanno subodorato che da noi caveranno ben poco, perchè non veniamo importunati più di tanto. Offriamo da bere ad un paio di esse per scambiare due chiacchiere. Un grosso orientale ne ha due incollate addosso, noi guardiamo incuriositi le ardimentose manovre sul palco. Le donne si esibiscono con palline da ping-pong, cerbottane, lamette; il come lo lascio all'immaginazione. Qui la prostituzione non è ad esclusivo appannaggio di povere emarginate, ma coinvolge ragazze di tutti i ceti sociali, che la svolgono come un lavoro qualsiasi. Passato lo stupore iniziale per lo show, torniamo fuori fra le bancarelle.
Stamattina Marco si è svegliato presto per andare a prendere Andrea all'aeroporto. Poi siamo partiti in battuta per andare ad Ayutthaya. La città è molto più tranquilla di Bkk, abbiamo fatto un pranzo luculliano e conosciuto due ragazze americane, a cui diamo appuntamento stasera alle 7 al Tony, uno dei pochi locali in città. Di vita comunque ce n'è ben poca, per fortuna veniamo salvati dalla depressione incombente da un prestigiatore di strada che ci delizia con mille giochini divertentissimi.
Ayutthaya
La mattina noleggiamo due scooter e vagabondiamo per la città, fra
templi in disfacimento, elefanti, bande musicali con le giacche viola ed
enormi Buddha di pietra. Ai piedi di uno di essi svolgiamo il rituale,
che consiste nell'attaccare una lamina dorata alla pietra e accendere
una candela. Non so se sia contemplato anche la realizzazione di un
piccolo desiderio, o se quella di chiedere favori sia un'usanza solo
occidentale. Sono poco ferrato sulle usanze religiose, esprimo quindi
una richiesta non molto complicata da esaudire. A ora di pranzo abbiamo
praticamente visto tutta la città, che a dire il vero ci aspettavamo un
po' più caratteristica. Siamo indecisi, vorremmo andare a Lopburi ma
temiamo che, una volta visti i tre templi e le famose scimmie, si riveli
una città un po' malinconica come qui. Dopo una pacata discussione (i
soliti piatti che volano e sedie ribaltate), decidiamo di andare verso
il mare. Questo perchè Luca arriva fra tre giorni e non avremmo il tempo
materiale di vedere qualcosa di più lontano. Pattaya è la località
balneare più vicina, la guida ne parla come di una specie di girone di
perdizione e lussuria. E andiamolo a vedere, sto girone infernale!
Torniamo quindi a Bangkok in treno, e qui prendiamo un pulmino assieme
ad un gruppo di ragazzi israeliani e due olandesi. Arriviamo a Pattaya
in serata. La Walking Street è una specie di rutilante succursale di Las
Vegas. Ristoranti, negozi e go-go bar immensi. Qui questi posti sono
ancora più sfacciati, sono in pratica dei mercati a cielo aperto, le
ragazze urlano come matte per farci avvicinare. Gridano " Halò - sexyboy
- aliugoing - velcom - massage!" in una sorta di loop ipnotico. Questi
posti, lasciata un attimo in disparte la facile morale, sono senz'altro
caratteristici, se non altro per farsi due risate. Non c'è sfruttamento,
forse meno rispetto a un ragazzo occidentale che lavora in un
call-center, e comunque non sta a noi giudicare le usanze di questo
popolo, ne abbiamo abbastanza di croci da portare già col nostro.
Vorremmo portare Andrea a vedere uno dei famosi ping-pong show, ma il
locale sta chiudendo. I ristoranti vendono aragoste di dimensioni
spropositate, sembrano cuccioli di alano. Ne facciamo pesare una per
curiosità, è quasi quattro chili e lunga più di un avambraccio. Ecco,
sono grosse come le pantegane che corrono all'ingresso della via, dove
ci sono anche alcune facce poco raccomandabili. Finiamo la serata in
spiaggia, dove conosciamo Fabrizio, che diventa subito il nostro idolo
per le sue rivelazioni illuminanti che diventeranno hit della vacanza
("Ragassi (perchè ha l'accento emiliano), non fidatevi, sembrano brave
ragasse ma son tute batone.. E MA NON CAPISCO!) Alla quinta volta che
viene in Thailandia, sembra aver finalmente appurato che molte ragazze
qui non sono disinteressate .
Pattaya
La giornata la passiamo vagando spensierati per la città, percorriamo
il lungomare fino all'estremità nord. Il mare non è granchè, decidiamo
quindi di fare qualche compera per passarci via. Prendo un paio di
pantaloni perchè quelli che indosso ormai non li metterebbe neanche un
minatore. Si vendono anche innumerevoli patacche, rolex finti non male, e
gioielli di scarsa qualità. Particolarmente molesti sono i sarti
indiani, che insistono per farci dei vestiti su misura. Con uno,
purtroppo, vengo quasi alle mani perchè praticamente mi strattona per
trascinarmi dentro il suo negozio. La serata si conclude con un ladyboy
(o katoy.. un travone, per capirci) che nel bel mezzo della Walking,
prima prova ad adescare Marco, e poi tira una cinghiata ad Andrea che
gli dice di lasciar perdere. La situazione è talmente surreale che ci
allontaniamo frettolosamente, la reazione immediata sarebbe quella di
riempirlo di botte ma il suo aspetto femminile ci disorienta, e
decidiamo di tornare in hotel.
Bangkok
Siamo tornati a Bkk per recuperare gli ultimi due compagni di viaggio
che ancora mancano all'appello, Luca e Nando. La città ora mi appare
insopportabile, l'inquinamento mischiato agli odori agrodolci del cibo,
il clima soffocante che non dà tregua, assieme all'insistenza di alcuni
venditori. Nando lo incontriamo in un hotel in una traversa di
Sukhumvit. Dietro suo consiglio, decidiamo di andare al "the Club", uno
dei pochi locali che tiene aperto fino all'alba. Molti farang, alcune
ragazze thai apparentemente senza secondi fini, musica house pompata al
limite della sopportazione, aria condizionata tipo cella frigorifera.
Dopo un po', vuoi per il gelo vuoi per l'alcool, ho un principio di
collasso e mi siedo al divanetto all'ingresso ad aspettare gli altri.
Siamo brilli per non dire ubriachi. La serata si conclude con una marea
di baht spesi e il guidatore pazzo di tuktuk, che ci delizia impennando
il suo mezzo di un metro buono e rischiando il ribaltamento. Quando
arriviamo integri alla guesthouse, gli battiamo le mani e gli lasciamo
una buona mancia.
Oggi è stata la giornata dedicata alle compere, nel gigantesco
mercato di Mo-Chi (spero di averlo trascritto giusto). Saranno
diecimila bancarelle divise per settore, vestiti, artigianato ecc. Se
avessi i soldi comprerei la metà della roba che vedo, begli oggetti
anche da regalare. Per cui mi accontento di girare e guardare. Purtroppo
non riesco a godermelo fino in fondo. Esattamente come Marco in
Sudafrica, dopo circa 3 settimane di assunzione, il Lariam (profilassi
antimalarica che sto facendo per Lao e Cambogia) dà luogo ai suoi
terribili effetti collaterali. Premetto che sono abbastanza forte, ho
affrontato Messico e Marocco e altri Paesi "a rischio" senza avere il
minimo turbamento interno, diciamo. Invece, dopo un po' che ci
inoltriamo fra le merci, inizio ad avvertire forti capogiri, nausea,
pressione a terra. Dico agli altri di continuare pure il loro giro,
mentre io mi fermo ad un baretto all'ombra. Pur non avendo mangiato
praticamente nulla, vomito l'anima in un tombino, una ragazza pietosa
del bar mi porta del ghiaccio che mi dà un po' di energia. Me lo passo
sulla fronte fino a che non si scioglie, e vedendo che mi sta
ripigliando ne chiedo ancora. Non appena sono in grado di mettermi in
piedi, mi dirigo a malincuore verso l'uscita. Prendo un tuktuk il cui
guidatore, dopo avermi chiesto varie volte se, per caso, voglio fare un
vestito o un bum-bum, e di fronte alle mie risposte inferocite, mi
porta finalmente in albergo, dove dormo qualche ora. Mi sveglio
rintronato nel tardo pomeriggio, e decido di fare due passi in Khao San
per vedere se gli altri si sono incontrati con Luca, con cui avevamo un
appuntamento. Lo trovo che vaga solo e spaesato, zaino in spalla, e lo
accompagno in camera. Gli altri arrivano ad ora di cena, freschi
freschi, carichi di borse; erano a fare shopping, meno male che Luca
l'ho beccato io per caso. In serata prenotiamo il pullman per Siem Reap
(in Cambogia) a 2300 baht compreso il visto. Gli altri vanno poi al
Lumphini Stadium per assistere ad un incontro di Muay Thay, mentre io
rimango in camera a riprendermi, visto che domani la sveglia è alle 6.
Un ultimo appunto, anzi due, del tutto scollegati dal contesto ma che mi sento di fare ora.
1) Tutte le guide vi parleranno dell'affabilità e del sorriso dei thailandesi. Verissimo. Ma pochi menzioneranno l'altro, sinistro, lato della medaglia. E cioè che se vogliono vendervi qualcosa diventano dei veri rompicoglioni, secondi solo, forse, agli indonesiani.
2) In Thailandia due cose sono essenziali, da portare con sè. La prima sono dei sacchettini di plastica, da tenere sempre con sè per bloccare i bocchettoni dell'aria condizionata. Ho notato che in tutti i Paesi tropicali la usano con violenza, come uno status symbol, del tutto incuranti alle proteste. La seconda è la carta igienica, a meno che non siate in prestigiosi hotel internazionali, visto che l'idea di igiene intima, in tutta l'Indocina, si esprime al massimo con un secchio di acqua torbida vicino al cesso, il cui uso non oso immaginare.
Un ultimo appunto, anzi due, del tutto scollegati dal contesto ma che mi sento di fare ora.
1) Tutte le guide vi parleranno dell'affabilità e del sorriso dei thailandesi. Verissimo. Ma pochi menzioneranno l'altro, sinistro, lato della medaglia. E cioè che se vogliono vendervi qualcosa diventano dei veri rompicoglioni, secondi solo, forse, agli indonesiani.
2) In Thailandia due cose sono essenziali, da portare con sè. La prima sono dei sacchettini di plastica, da tenere sempre con sè per bloccare i bocchettoni dell'aria condizionata. Ho notato che in tutti i Paesi tropicali la usano con violenza, come uno status symbol, del tutto incuranti alle proteste. La seconda è la carta igienica, a meno che non siate in prestigiosi hotel internazionali, visto che l'idea di igiene intima, in tutta l'Indocina, si esprime al massimo con un secchio di acqua torbida vicino al cesso, il cui uso non oso immaginare.
Satun - Koh Samui
(Il viaggio riprende dalla frontiera con la Malesia, nel sud della Thailandia).
Risveglio brusco e imbarco all'ultimo minuto sul traghetto che mi porta
a Satun, in Thailandia. L'ufficiale di frontiera conta spaesato i
visti, le pratiche sono abbastanza veloci. Fortunatamente, un francese
silenzioso con trolley va a Koh Samui, per cui mi aggrego. Con 750 baht
posso raggiungere l'isola, e poi decidere se avventurarmi a Koh Pangan o
Koh Tao. Tragitto con minivan fino ad Hat Yai e Surat Thani. Il
traghetto per l'arcipelago partirà stanotte, per cui mangio in un
ristorantino al porto, brodo di riso e pollo. La barca ha un'aspetto un
po' antiquato, ma ha un suo fascino, l'idea che si avventuri nella notte
dell'oceano coi suoi legni cigolanti e i suoi bulloni arrugginiti. Al
primo piano vi è la stiva e i motori, al secondo, su un pavimento di
legno, una distesa di materassini dall'aria vissuta, su cui stendo il
sacco lenzuolo. Famigliole thai, bonzi, qualche farang, una ventina.
Scelgo una postazione d'angolo, con un oblò che si affaccia sulle
tenebre e da cui fumo l'ultima sigaretta prima di sdraiarmi. Dormo bene,
il mare è una distesa d'olio ed il rumore del motore si attenua durante
il viaggio.
Koh Samui
Entriamo nel porto all'alba, il cielo appena rosa all'orizzonte, un
gruppetto di tassisti mattutini cantilena le destinazioni. Come al
solito i falang si consultano, si formano i gruppetti che si
sparpaglieranno per l'isola. La mia meta è Chaweng Beach, e sembra che
ci vada anche qualche faccia simpatica. Con me, sul songthaew, un
gruppetto di canadesi, tre ragazze e quattro ragazzi, con cui
simpatizzo. Arriviamo che chiareggia, i canadesi fanno colazione da un
Burger King, mentre io, fuori, scambio qualche informazione con dei
pisani recuperati in strada. Loro, prima di qua, son stati dieci giorni a
Phiket e hanno preso praticamente solo pioggia, per cui probabilmente
ho scelto la costa giusta. Qua mi consigliano un resort, il Chaweng
Garden, dove trovo una doppia a 500 baht. Uno dei canadesi è spaiato,
sembra una persona per bene e decidiamo di prenderla insieme,
soprattutto perchè l'alternativa è andare a cercare un altro posto,
visto che molti hotel sono pieni. Il bungalow, in un complesso fra le
palme, è abbastanza pulito e ordinato, ad una ventina di metri dal mare.
Il gruppo di canadesi è attivissimo, decide di prendere un taxi collettivo per fare un giro dell'isola ed io mi faccio tirare in mezzo, anche se mi proietterei volentieri in spiaggia a farmi fare un massaggio mentre sorseggio un cuba. Andiamo a vedere l'ennesima cascata, da cui ci tuffiamo, ed un gruppo di scogli dalla curiosa forma di genitali. Dopo una foto collettiva sulla cappella di roccia, ci dedichiamo ad un pomeriggio nei negozietti di artigianato, dopo di che mi faccio il meritato riposino. Cena luculliana in riva al mare, crostacei e pesce, vino bianco non dei migliori, collane di fiori. Con le canadesi fumo il narghilè, distesi sulle stuoie, fra i cuscini, guardiamo i palloni di carta con la lampada dentro alzarsi nel cielo e farsi portare via dal vento. Conosciamo due ragazze californiane, con cui ci diamo appuntamento all' Happy Bar, salvo poi scoprire che ce ne sono almeno 4 di posti con quel nome, un paio dei quali di dubbia fama. Nottata etilica a vagare da un locale all'altro, la vita notturna si concentra in un paio di posti facilmente raggiungibili. Finiamo sulla spiaggia ad aspettare l'alba, le ragazze fanno il bagno, Monica mi invita nell'acqua ma io preferisco aspettare sulla sabbia tiepida. Fumiamo con un thai che si è unito al gruppo, ci spiega quali zone dell'isola secondo lui sono le migliori per comprare o per fare il bagno, eccetera. Non male, come primo giorno a Koh Samui. L'isola è bella, bikini farang sulla spiaggia, buona la possibilità di alloggiare e fare acquisti a prezzi onesti, gente tranquilla; alla sera la movida è frizzante, finalmente, dopo il ritiro spirituale nella musulmana Malesia.
Frase del giorno : "Where the fuck is the third Happy Bar?"
Il gruppo di canadesi è attivissimo, decide di prendere un taxi collettivo per fare un giro dell'isola ed io mi faccio tirare in mezzo, anche se mi proietterei volentieri in spiaggia a farmi fare un massaggio mentre sorseggio un cuba. Andiamo a vedere l'ennesima cascata, da cui ci tuffiamo, ed un gruppo di scogli dalla curiosa forma di genitali. Dopo una foto collettiva sulla cappella di roccia, ci dedichiamo ad un pomeriggio nei negozietti di artigianato, dopo di che mi faccio il meritato riposino. Cena luculliana in riva al mare, crostacei e pesce, vino bianco non dei migliori, collane di fiori. Con le canadesi fumo il narghilè, distesi sulle stuoie, fra i cuscini, guardiamo i palloni di carta con la lampada dentro alzarsi nel cielo e farsi portare via dal vento. Conosciamo due ragazze californiane, con cui ci diamo appuntamento all' Happy Bar, salvo poi scoprire che ce ne sono almeno 4 di posti con quel nome, un paio dei quali di dubbia fama. Nottata etilica a vagare da un locale all'altro, la vita notturna si concentra in un paio di posti facilmente raggiungibili. Finiamo sulla spiaggia ad aspettare l'alba, le ragazze fanno il bagno, Monica mi invita nell'acqua ma io preferisco aspettare sulla sabbia tiepida. Fumiamo con un thai che si è unito al gruppo, ci spiega quali zone dell'isola secondo lui sono le migliori per comprare o per fare il bagno, eccetera. Non male, come primo giorno a Koh Samui. L'isola è bella, bikini farang sulla spiaggia, buona la possibilità di alloggiare e fare acquisti a prezzi onesti, gente tranquilla; alla sera la movida è frizzante, finalmente, dopo il ritiro spirituale nella musulmana Malesia.
Frase del giorno : "Where the fuck is the third Happy Bar?"
Koh Phangan - Full Moon
L'isola di Koh Samui si presta ad essere girata facilmente in
scooter. Fra le attrazioni, un buddha dorato gigantesco (e un po'
pacchiano, con lucine tipo luna park), il Butterfly Garden (un parco
racchiuso da reti dentro cui volano migliaia di farfalle) e molte
spiagge lontane dal turismo di massa, magari meno adatte al bagno ma
senz'altro affascinanti.
Stanotte siamo stati a Koh Phangan. Siccome ieri pomeriggio tutti fervevano per via della luna piena e del Full-moon party, pur non essendo un grande amante del genere decido di unirmi a loro. Al porto, ci recupera una speed-boat, siamo un gruppetto nutrito, ovviamente tutti falang. La barca è una scheggia nella notte, limpida e luminosa per via della luna, solleviamo grosse creste di schiuma bianca dietro di noi. Una ragazza inglese scopre di soffrire il mare, per fortuna si allontana. Da lontano, avvistiamo le luci della festa. Sono curioso di verificare quante leggende su questa festa siano vere. La spiaggia, nel buio, luccica di centinaia di chioschetti, neon, ragazzine ubriache, impianti stereo, mangiafuoco. Ci sono zone in cui la musica è pompata, altre dove si può far riposare i timpani e osservare i giocolieri o la gente che balla seminuda ricoperta di vernice fosforescente. Coi canadesi faccio un patto di aiuto-controllo reciproco, ripromettendoci di non perderci di vista. Bisogna dire che non girano solo ettolitri di alcol, per cui cerchiamo di tenerci alla larga da situazioni spiacevoli. Un poliziotto ispeziona il mio zaino, e mi augura gentilmente di divertirmi. Tutta la notte abbiamo ballato, riso, soprattutto bevuto parecchi bucket di lamencoke; credo di aver cambiato tre volte le ciabatte nel corso della serata. Ci ritroviamo all'alba, a sonnecchiare sulla spiaggia, praticamente sotto un woofer. Io sono dipinto di roba fluorescente peggio di quelli che pigliavo per il culo quando sono arrivato. Centinaia di persone, barcollanti, aspettano con l'acqua fino alla vita l'arrivo delle spead-boats. Silhouettes nere contro il cielo rosa e arancio, come animali migratori verso la prossima festa. Devo ammettere che mi sono divertito, anche se questo genere di feste non rientra nella pura filosofia routard, ogni tanto è giusto prendersi una pausa e godersela un po'. Delle lampade-mongolfiere di carta annuiscono, mentre si sollevano lente dalla spiaggia su cui si trascinano gli ultimi e già si smontano i baracchini e i sound system.
Stanotte siamo stati a Koh Phangan. Siccome ieri pomeriggio tutti fervevano per via della luna piena e del Full-moon party, pur non essendo un grande amante del genere decido di unirmi a loro. Al porto, ci recupera una speed-boat, siamo un gruppetto nutrito, ovviamente tutti falang. La barca è una scheggia nella notte, limpida e luminosa per via della luna, solleviamo grosse creste di schiuma bianca dietro di noi. Una ragazza inglese scopre di soffrire il mare, per fortuna si allontana. Da lontano, avvistiamo le luci della festa. Sono curioso di verificare quante leggende su questa festa siano vere. La spiaggia, nel buio, luccica di centinaia di chioschetti, neon, ragazzine ubriache, impianti stereo, mangiafuoco. Ci sono zone in cui la musica è pompata, altre dove si può far riposare i timpani e osservare i giocolieri o la gente che balla seminuda ricoperta di vernice fosforescente. Coi canadesi faccio un patto di aiuto-controllo reciproco, ripromettendoci di non perderci di vista. Bisogna dire che non girano solo ettolitri di alcol, per cui cerchiamo di tenerci alla larga da situazioni spiacevoli. Un poliziotto ispeziona il mio zaino, e mi augura gentilmente di divertirmi. Tutta la notte abbiamo ballato, riso, soprattutto bevuto parecchi bucket di lamencoke; credo di aver cambiato tre volte le ciabatte nel corso della serata. Ci ritroviamo all'alba, a sonnecchiare sulla spiaggia, praticamente sotto un woofer. Io sono dipinto di roba fluorescente peggio di quelli che pigliavo per il culo quando sono arrivato. Centinaia di persone, barcollanti, aspettano con l'acqua fino alla vita l'arrivo delle spead-boats. Silhouettes nere contro il cielo rosa e arancio, come animali migratori verso la prossima festa. Devo ammettere che mi sono divertito, anche se questo genere di feste non rientra nella pura filosofia routard, ogni tanto è giusto prendersi una pausa e godersela un po'. Delle lampade-mongolfiere di carta annuiscono, mentre si sollevano lente dalla spiaggia su cui si trascinano gli ultimi e già si smontano i baracchini e i sound system.
Koh Samui
Giornata finale sull'isola. Stamattina i canadesi sono partiti, ho
intravisto nel sonno Ryan che mi faceva un cenno di saluto. Avrei voluto
salutarlo meglio, ma il dormiveglia mi ha sopraffatto. Quando sono
uscito, noto che sulla porta c'è una busta con dei soldi. C'è una
lettera di Rehzad, uno dei canadesi, che dice a Ryan che ha deciso di
partire all'improvviso, e gli rende i soldi che il mio compagno di
stanza gli aveva anticipato per una gita. Non posso fare altro che
tenerli, sono circa 15 euro. In spiaggia, sotto una palma, mi faccio
fare un massaggio mentre sorseggio un cuba, che mi scioglie un po' di
stanchezza per questi ultimi 51 giorni in Indocina. Passo la serata
facendo una passeggiata, fra bancarelle e locali, o a giocare a biliardo
con le ragazze dei go-go bar, ovviamente fortissime. All'alba, inglesi
ubriachi e ladyboys che vagano per la strada. Un pitbull con una collana
di fiori. Sentimenti da fine della festa, devo dirigermi verso nord per
raggiungere Bangkok, dove Luca e Marco mi racconteranno come è andata
fra le montagne del nord.
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